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Ode a Sua Eccellenza il cavaliere D. Francesco Saverio Petroni

A Sua Eccellenza il cavaliere

D. Francesco Saverio Petroni

di Ortona de' Marsi, Intendente della Provincia di Abruzzo Citra

Ode

O saggio incomparabile

Divo Signor, clemente

Sollevator benefico

DellaVirtù cadente,

Eroe del nostro Secolo,

Tito di questa età.

Tutti i pensier dell'anima

Tutte le mie sciagure,

I miei dolor, le mie smanie,

Le acerbe mie sventure,

Gli aspri successi, e i palpiti

Svelo alla tua pietà.

Sappi, che al mio nascere

Ruotò per me la luna

Sul ciel, di amaro genio

E insanguinata e bruna,

E in mezzo alle sue tenebre,

Schiusi le luci al dì.

Armossi allor di furia

Il mio tremendo fato,

E femmi in sen de' spasimi

Orbo d'un Padre amato,

E qui per sempre, celere

La pace mia sparì.

Giunto all'età più florida

Onde più l'uom vaneggia,

Cercai nutrir quel nobile

Estro che in me fiammeggia;

Ma la fortuna instabile

Cieca mi abbandonò.

Sol mi lasciò la torbida

Schiera de' miei lamenti;

E mai di udir compiacquesi

Il suon de' miei tormenti;

Diemmi l'affanno in premio,

E tutto m'involò.

E mi ridusse (ahi misero)

Privo di ogni diletto

Intorno a un miserabile

Noioso mio banchetto

Ad agitar la lesina

Per ogni tempo e dì.

Ma pur tra le mie lacrime

Sprezzando un dì la sorte,

Col son di dolci carmini

Io, nobil'alma e forte

Feci a ciascun conoscere

Che Dio mi compartì.

Ed ecco ad un tratto l'odio

Che mi circonda in fretta,

Ecco mi piomba rapida

La barbara saetta

Della crudele invidia

Figlia, non del saper...

Ecco ver me rivolgersi

Torve le altrui pupille

De' snaturati critici,

E in mille guise e mille

Guerra mortal intimano

Al mesto mio pensier.

Come arboscel che innalzasi

Vago fra l'altre piante,

L'irto furiar degli euri

Con tante scosse e tante

L'urtano, e già di svellere

Tentan la sua beltà.

Tal'io che senza studio,

E senza libri, ed arte,

Che senza alcuna regola

Fo risuonar le carte;

Sono un oggetto orribile

Ai mostri d'empietà.

Per fatto aver un semplice

Ridicolo scherzetto

Che in lingua delli perfidi

Poi si nomò sonetto;

Fui querelato d'essere

Autor d'ogni altro mal.

E in questo caso ardirono

Gli scellerati figli

Dell'ignoranza, tessere

Co' vili lor consigli

Una villana satira

Al fior d'ogni mortal.

E me incolpar; ma il vivido

Specchio del buon costume,

Il padre della Patria

Il tutelar mio nume,

Il giusto, il saggio, il nobile

Scamolla, il mio Signor;

Ei non turbossi; (oh fragili

Pensier di debil mente)

Ma s'impegnò proteggere

Caritatevolmente

Fra tanta rea calunnia

Un innocente cor.

Imprese il fior degli uomini

Onde l'invidia nacque;

Sorrise a tal discordia,

Fra un bel sospir poi tacque,

E forse or favorevole

Ti parlerà per me.

E Tu, mio giudice

Emulator di Giove,

Se di mia fe' pur dubiti

A tante e tante prove;

A tue voler condannami,

Io m'abbandono a Te.