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Il ciabattino

Da mio padre ciabattino

Ciabattin fui fatto anch'io

Mi sommisi al mio destino

Volli bene al mestier mio

Fu la lesina e il martello

La mia sola eredità

Il tesor del poverello

É il tesor dell'onestà.

Io non bado a chi mi attornia

Predicando i monti d'oro;

Da per tutto è California

Per chi attende al suo lavoro.

Finché seggo al mio deschetto,

Non invidio un trono a un re;

Avrò caro il mio trincetto,

Finché l'uomo avrà due pié.

Se il mio povero mestiere

Mi dà pan che mi bisogna,

Delle man callose e nere,

Del grembial non ho vergogna.

Forse quei che 'l mondo fece

Guarda i panni e non il cor?

Oh! le macchie della pece

Non ci macchiano l'onor.

Il mestiere che disonora

É il mestier del non far niente;

Chi più suda e più lavora

Vive ancor più allegramente.

Fra stivali, fra ciabatte

L'allegrezza io troverò;

Col martel che batte batte,

I miei canti accorderò.

Camperò soletto, oscuro,

Nella piccola bottega;

Lo star solo è più sicuro

Che lo star con molti in lega.

La mia vita è più gioconda,

Quanta è più la voluttà;

Forse alcun che d'oro abbonda

La mia sorte inciderà.

La scherzosa compagnia

Sol mi piace ai dì di festa;

Ma non vado all'osteria

A comprar il mal di testa.

Eh, perdinci! La ragione

M'è più cara che il bicchier;

Guida all'oste o alla prigione

Un medesimo sentier.

Se all'onesto ciabattino

Un centesimo rimane,

Oh! non pensa al gioco e al vino,

Ma a comprar più tardi il pane.

Chi più gode al tempo bello,

Quando è vecchio penerà;

Ma l'industre artigianello

Sempre un letto e un pane avrà.

Domenico Stromei